Questa estate 2022 è purtroppo segnata dalla guerra in Ucraina e dal ritorno della rivalità tra “grandi potenze” con le tensioni fra Stati Uniti, Russia e Cina, da una crisi energetica e alimentare e da estreme ondate di calore che rendono la misura degli effetti del cambiamento climatico. Il Mediterraneo risulta particolarmente vulnerabile a questo tipo di sfide, sia sotto il profilo economico che dal punto di vista politico e della sicurezza. Alcuni Stati arabi del Nord Africa e del Medio Oriente, in particolare, sono fortemente interessati da questi sviluppi globali, che interagiscono con fragilità strutturali con conseguenze a volte catastrofiche.
Anche se al momento in cui vengono scritte queste righe l’attenzione dei leader e dei media globali è concentrata sulla guerra in Ucraina e sulle tensioni relative a Taiwan, non bisogna dimenticare che il mondo arabo rappresenta da anni una dolorosa realtà di instabilità e crisi. Sono passati ormai più di undici anni dall’inizio delle “Primavere arabe” – l’ondata di proteste iniziate in Tunisia che si è poi propagata al resto del mondo arabo. Quello che sembrava l’inizio di un processo di riforma e democratizzazione appare oggi sempre più come un’occasione in gran parte perduta e in alcuni casi sfociata in tragedia.
Cinque Stati sembrano incarnare in maniera peculiare il lato tragico della realtà politica, economica e sociale che caratterizza il mondo arabo. L’Iraq ha dominato per anni le prime pagine dei giornali a causa della guerra civile seguita al rovesciamento del regime di Saddam Hussein da parte degli Stati Uniti nel 2003. A partire dal 2013-2014 il paese – insieme alla Siria – è stato anche l’epicentro dell’ascesa dell’Isis/Daesh. Lo stato di crisi e instabilità cronica che interessa l’Iraq ha recentemente toccato un nuovo picco con una serie di proteste sfociate nell’irruzione all’interno del parlamento di Baghdad da parte dei sostenitori del chierico e leader politico sciita Moqtada al-Sadr. La Siria, dopo più di undici anni di guerra civile, può essere forse considerata la più evidente e drammatica distorsione del percorso iniziato con le Primavere arabe. Così come la Siria, anche lo Yemen rappresenta una delle peggiori catastrofi umanitarie al mondo. Analogamente al caso siriano, inoltre, anche la tragedia yemenita è dovuta tanto dall’esplosione di un conflitto interno quanto dal coinvolgimento di potenze esterne. La crisi politica ed economica attraversata dal Libano è stata drammaticamente simbolizzata dalla tremenda esplosione avvenuta due estati fa – proprio in agosto – nel porto di Beirut, una crisi oggi persino più profonda a causa dell’insicurezza alimentare causata dalla guerra in Ucraina. La Libia, infine, è passata dall’essere una delle grandi speranze di democratizzazione e rilancio dell’interventismo umanitario a uno stato di conflitto e inestricabile frammentazione interna inasprito dal coinvolgimento di potenze internazionali, in una dinamica per molti versi paragonabile alla situazione in Siria e Yemen.
È proprio sulla storia e sul presente di questi cinque Stati che si concentra un recente libro di Pierre-Jean Luizard che si intitola Les racines du chaos. Irak, Syrie, Liban, Yémen, Libye: cinq États arabes en faillite (Le radici del caos. Iraq, Siria, Libano, Yemen, Libia: cinque Stati falliti arabi), pubblicato in Francia dalla casa editrice Tallandier. Luizard è direttore di ricerca presso il Centre National de la Recherche Scientifique. Storico di formazione, l’autore di Les racines du chaos è uno specialista dell’Islam e delle società del Medio Oriente. Molte delle sue opere si concentrano in particolare sulla storia dell’Iraq e fra i suoi lavori più noti si possono citare La question irakienne (pubblicato anche in italiano dalla casa editrice Feltrinelli con il titolo La questione irachena) e Le piège Daech (tradotto in italiano come La trappola Daesh dalla casa editrice Rosenberg & Sellier).
L’Iraq, la Siria, il Libano, lo Yemen e la Libia, nota Luizard, pur avendo le loro specificità storiche, geografiche e culturali, presentano numerose caratteristiche comuni. Tra queste si possono citare l’emergere di società civili soffocate da sistemi politici irriformabili e segnati dall’autoritarismo e dalla corruzione, la frammentazione della società su linee religiose, etniche o tribali (che si riflette anche a livello geografico con aree sotto il controllo di milizie o organizzazioni jihadiste), e una lunga scia di ingerenza da parte di potenze esterne. Quattro di questi Stati (l’Iraq, la Siria, il Libano e la Libia) hanno vissuto direttamente la colonizzazione europea, e quattro su cinque (l’Iraq, la Siria, il Libano e lo Yemen) stanno collassando sotto la pressione di forze confessionali.
Secondo Luizard, il problema di questi cinque Stati – e del mondo arabo più in generale – sta nel fallimento del modello dello Stato-nazione. Questo modello di organizzazione del potere pubblico, imposto forzatamente dalle potenze coloniali europee nella regione, si è rivelato inadatto a garantire un sufficiente livello di legittimazione dell’autorità statale. Nel mondo arabo, nota l’autore del volume, la modernità liberale si è diffusa quasi esclusivamente attraverso la conquista imperiale, e questo fenomeno ha minato la legittimità dei principi democratici e liberali, ostacolandone il consolidamento nella regione. Come conseguenza, una serie di altri fattori – come il confessionalismo, il tribalismo, la corruzione, il desiderio di accaparrarsi le rendite derivanti dallo sfruttamento gli idrocarburi e l’ingerenza straniera – ha fortemente indebolito la coesione delle comunità politiche mediorientali, condannando in particolare l’Iraq, la Siria, il Libano, lo Yemen, e la Libia al fallimento. È proprio a causa di questo fallimento, inoltre, che il jihadismo ha potuto conoscere una diffusione così rapida in Medio Oriente.
Puntare sui regimi attuali di questi Stati nella speranza di arginare l’instabilità e la minaccia terrorista è un’illusione pericolosa per i governi occidentali, che rischiano di accentuare la spirale di violenza e repressione che attanaglia il Medio Oriente. Il fattore alla radice di questa spirale, secondo Luizard, sono proprio questi “sistemi” di potere pubblico basati su una visione distorta della modernità. Ciò che è necessario, dunque, sono riforme radicali volte a ripristinare la legittimità e ricostruire un senso di cittadinanza e di appartenenza comune per i popoli dei cinque Stati in questione – così come per il resto del mondo arabo. Questo risultato è però fuori dalla portata delle ex potenze coloniali così come delle potenze attualmente implicate nei conflitti che dilaniano la regione. Per ristabilire la legittimità del potere pubblico nel mondo arabo è necessario, sostiene Luizard, l’intervento di un’autorità imparziale ed espressione della comunità internazionale – come le Nazioni unite – e di una strategia volta a ridare potere ai cittadini e alla società civile.
Les racines du chaos delinea la storia di cinque paesi arabi. Tuttavia lo scopo del libro è quello di fornire ai lettori elementi per analizzare i fenomeni di attualità. Questo lavoro è insomma scritto in funzione della comprensione degli eventi e delle dinamiche che dominano al giorno d’oggi il dibattito pubblico. Un tale approccio ha numerosi pregi ma anche alcuni limiti. La situazione nel mondo arabo è in costante evoluzione, e qualsiasi tentativo di spiegare l’attualità corre il rischio di dover sacrificare almeno in parte un’analisi completa e approfondita. Alcuni passaggi del libro avrebbero potuto essere più articolati e approfonditi in maggior dettaglio. Un altro limite legato a questo approccio sta fatto che ogni studioso ha una sua specialità, mentre quando si cerca di proporre un’analisi generale in tempi dettati dalla necessità di concentrarsi sull’attualità, può diventare inevitabile fare sacrifici in termini di spazio e fonti. Se dunque ad esempio il libro dedica circa sessanta pagine all’Iraq, uno dei punti forti dell’esperienza accademica dell’autore, il capitolo sulla Libia occupa poco più di una decina di pagine. Inoltre, l’approccio storico adottato in Les racines du chaos, seppur valido e ben sviluppato, non integra nell’analisi l’esame di alcune dinamiche attuali che contribuiscono a delucidare la comprensione dell’instabilità geopolitica del mondo arabo, come il cambiamento climatico e l’impatto dei flussi finanziari internazionali.
Come già accennato, tuttavia, questi limiti sono per molti versi un prezzo inevitabile da pagare allo scopo di fornire in tempi brevi e a un vasto pubblico un’opera capace di aiutare a decifrare dei fenomeni complessi e di forte attualità, e non oscurano i numerosi pregi che contraddistinguono Les racines du chaos. Il libro offre un’introduzione utile, accessibile e aggiornata alla storia di cinque paesi arabi che che figurano in primo piano nel dibattito attuale sulle sfide geopolitiche che caratterizzano il Medio Oriente e il Nord Africa. L’analisi comparativa dei cinque casi è interessante e piena di utili spunti di riflessione. Il testo è accompagnato da una serie di mappe, da un glossario e da alcuni consigli di lettura. La ricetta proposta dall’autore per estirpare “le radici del caos” che affligge l’Iraq, la Siria, il Libano, lo Yemen e la Libia può forse apparire utopica e difficilmente realizzabile nel contesto internazionale attuale. Ci si potrebbe in effetti chiedere se non sarebbe forse necessario prima creare o completare quella serie di istituzioni internazionali che l’autore vede come lo strumento più adatto alla ricostruzione politica del mondo arabo. Resta il fatto che, in linea di principio, la tesi di Luizard è ben motivata, valida e condivisibile, e potrebbe se non altro servire come “bussola morale” per guidare l’azione della comunità internazionale nei confronti di una regione nota per la sua storia travagliata e per il suo presente spesso drammatico. Queste caratteristiche rendono Les racines du chaos una buona lettura da portare in viaggio o da tenere a portata di mano per chiunque sia interessato alla storia e alla geopolitica del mondo arabo.
Diego Pagliarulo